3 foto artistiche bannate da Facebook

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Molti credono che sui social network ci sia molta libertà e che non ci sia la censura che invece domina incontrastata sui media tradizionali.

È opinione diffusa, infatti, che Internet sia esente da regolamenti e leggi e che quindi sia lecito fare qualsiasi cosa. Per fortuna non è così: ogni sito ha le sue regole e ogni utente è soggetto a leggi esattamente come nella vita offline.

Tuttavia, proprio per questo motivo, pensare di non essere sottoposti a censura è da sognatori. E di fatti anche il social network più popolare al mondo, Facebook, ha delle regole che fa rispettare col pugno di ferro e con criteri molto rigidi.

Criteri che, tuttavia, possono essere sbagliati.

Spesso, infatti, vediamo video di inaudita violenza o immagini che inneggiano al fascismo (che in Italia è reato) restare impunemente su Facebook, mentre ci sono foto dall’alto valore artistico e culturale che vengono bannate da Facebook perché non rispetterebbero gli standard della comunità.

C’è da chiedersi, dunque, in che modo vengano valutati i contenuti e in base a quali criteri e come venga valutata l’arte. Ci sono tanti dipinti di nudi che se condivisi su Facebook non generano alcuno scandalo, mentre la fotografia non sembra essere percepita come un’arte.

Se è vero che Facebook dovrebbe anche allargare orizzonti e aprire menti, come si suppone avvenga nel naturale confronto umano (altrimenti che senso ha dare la possibilità a tutti di connettersi con altre persone?), certe regole andrebbero riviste e andrebbe richiesto un serio sistema di valutazione.

La fotografa Anastasia Chernyavsky si è vista rimuovere questa foto in cui l’amore di una mamma trova una delle sue migliori descrizioni per pornografia.

La foto di questa bambina che scappa nuda da un bombardamento al napalm da parte degli aerei americani in Vietnam è diventata storia. Eppure Facebook l’ha considerata pornografia.

Il piccolo Aylan, ritrovato morto su una spiaggia in Turchia mentre scappava dalla guerra assieme ai suoi genitori e diventato l’emblema della disperazione dei rifugiati, secondo Facebook urta la sensibilità degli utenti.

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